Published On: 23/11/2014Categorie: Spunti di vista sul Tango

Con questo articolo, Cristina Manfredi, giornalista e tanguera, inaugura la serie “Spunti di vista” sul mondo del tango argentino. Idee, commenti, riflessioni sulla vita nelle milonghe (e nelle scuole di tango).

Il maestro e il Dalai Lama

Spunti di tango...

Cristina Manfredi, giornalista e tanguera, scrive per Milano Tango.

Del tango una cosa mi commuove: la fedeltà al maestro. Più forte dell’emozione di perdermi nella musica mentre cerco di dare un senso ai movimenti del mio corpo. Più viscerale della Tempesta e Assalto che ogni notte si scatena nelle milonghe.

I miei maestri mi portano nel tango. Senza quell’attenzione ai miei passi incerti, senza l’incoraggiamento, l’entusiamo, la disciplina, il fuoco che hanno addosso, oggi non sarei in pista.

Durante un seminario, mi sono trovata a cercare con lo sguardo uno di loro due. Partecipavo a una serie di lezioni organizzate proprio dalla mia scuola con una ballerina di fama mondiale. Il modo in cui spiegava un movimento mi spiazzava e così, prima di decidermi a provarlo, ho voluto rassicurarmi che, sì, era diverso da come l’ho imparato io, ma che era un punto di vista comunque funzionale.

Bella cosa avere qualcuno su cui contare, una roccia a cui aggrapparsi caso mai sul nostro ballo si abbattesse qualche sciagura di stile. Poi mi è venuto in mente il Dalai Lama.

Per lavoro ho incontrato Sua Santità nel giugno scorso. Parlava a Livorno di etica secolare, di tolleranza, di compassione intesa come attenzione all’altro, idee che, a pensarci bene, funzionano alla grande anche per lo spazio di una tanda. A un certo punto ha invitato il pubblico a metterlo in difficoltà, a fargli domande, in caso anche a contestare le sue risposte, se ritenute incongruenti. Non ricordo le parole precise ma il senso mi è rimasto chiaro in testa: il rapporto con il maestro non può essere un mero atto di fede, prima di sceglierlo va messo alla prova. E una volta iniziati gli insegnamenti, non ci si può fermare alla passiva ricezione di codici tecnici ed estetici. Issare sul piedistallo chi ci insegna è pericoloso per il tango.

In milonga vedo fazioni sotterranee, steccati mentali che creano un “Noi” e un “Loro”, dove il “Loro” è una antitesi da confutare. E la fedeltà al maestro diventa una trappola. Il mio maestro è migliore del tuo, il mio maestro è l’unico che sa ballare, il solo depositario del Tango con la T maiuscola. Se studio con Tizio anziché con Caio è evidente che mi piace il suo modo di ballare, però non voglio trasformarmi in un Robespierre della sacada. In verità, l’ho fatto, credo di avere anche litigato con uno pseudo fidanzato tipo bambini dell’asilo: “Meglio i miei”, “No, i miei”, “E io dico di no”, “Guai a te se parli male di loro”. Una sera l’ho mollato quattro a zero alle Colonne di San Lorenzo, tornando a casa a piedi imbufalita.

Provo affetto, gratitudine, stima e rispetto per gli insegnanti che seguo ormai da tempo, sentimenti e sensazioni che dimostro trattandoli come persone, non semi-dei. Mi fido, ma non mi affido. E diffido di chiunque cerchi di convincermi a fare il contrario.

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