Published On: 16/01/2022Categorie: Blog, Dentro il tango, I reportage - Tango nel mondo

di Cristina Manfredi

Ho iniziato a studiare tango nella primavera del 2009: poche lezioni organizzate un po’ per
caso in una scuola a Milano e subito il desiderio fortissimo di attraversare l’Oceano, arrivare
fino a Buenos Aires per sfiorare l’essenza del tango.

 

Pochi mesi dopo, mettevo piede per la prima volta in Argentina e in una milonga, niente meno che il Salon Canning, praticamente un tempio dove negli anni hanno ballato tutti i più grandi. Restavo seduta a guardare le
coppie in pista perché ero troppo principiante per tirarmi in piedi, studiavo tutti i pomeriggi dividendo il pazientissimo maestro con la mia amica Giuliana e non mi domandavo cosa volevo dal tango.

Ero troppo invischiata in quel vortice di curiosità, imbarazzo, emozioni che il tango invariabilmente scatena.

         

Chiunque sia entrato in contatto con questo ballo sa che esiste una vita prima e dopo il tango che ti sconvolge i ritmi, ti spinge a ballare di lunedì fino alle 4 di mattina, a organizzare viaggi per scoprire nuovi ballerini, hasta sacar la viruta al piso.

Dopo quasi due anni di pandemia, di cui buona parte trascorsi senza mai calzare le adorate scarpine da ballo,cosa chiedo io al tango?

Cosa voglio da quell’abbraccio?

E cosa sono disposta a dare?

Me lo sono domandato mentre agli inizi di novembre viaggiavo verso la Massilia Tango Marathon, la mia prima maratona, co-organizzata con infinita dolcezza a Marsiglia da Angela Pieracci e dove per la prima volta ho ballato dal febbraio del 2020.

Compagni di avventura Alice e Andrea amici preziosissmi, prima ancora che maestri a cui devo tutto quel poco che so del tango.

In auto verso il Castello di Bois Luzy che ospitava l’evento, tutti e tre eravamo elettrizzati all’idea di ritrovare le mirade, i sorrisi, gli abbracci. Ma era solo quello che volevo dal tango, mi sono domandata rientrando assonnata e felice nell’appartamentino che mi ero presa nella parte storica (e meravigliosa!) della città?

Certo il calore umano, la magia della musica che i corpi dei ballerini traducono in danza, l’intrigo degli sguardi preludio di una tanda, sono tutti aspetti di un rituale di cui ho sognato fino alle lacrime nei lunghi mesi di lockdown.

Io però dal tango oggi voglio soprattutto una cosa: ritornare a fidarmi dell’altro.

 

         

 

Chiudere gli occhi, mettermi in ascolto di chi mi stringe tra le braccia, fidarmi e affidarmi a lui, senza però mai perdere il mio baricentro, senza crollargli addosso, anzi offrendogli la mia energia, il mio sentire perché possiamo insieme costruire qualcosa di effimero come una tanda. Eppure eterno come il ricordo di quattro tanghi ballati con l’anima.

E voi, che cosa volete dal tango?

Raccontate le vostre storie (commentando questo articolo) e, se lo permetterete, lo staff di Milano Tango sarà felice di condividere online i vostri pensieri più belli.

 

Nelle immagini alcuni momenti della 3a edizione della Massilia Tango Marathon a cui hanno partecipato Cristina Manfredi e i maestri Alice Gaini e Andrea Bassi

.Foto @ Tanya Tango

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