Published On: 05/06/2017Categorie: Blog, I reportage - Tango nel mondo

Milonghe a Shanghai? Piccoli gioielli introvabili.

Di Davide D’Angelo.

Davide D'Angelo, appassionato di tango e inviato nelle peggiori milonghe del mondo.

Davide D’Angelo, appassionato di tango e inviato nelle peggiori milonghe del mondo.

Shanghai, 24 milioni di abitanti, una milonga regolare per sera nel week-end e qualche pratica infrasettimanale, almeno stando alle quasi inesistenti informazioni disponibili in rete. Rete si fa per dire, visto che nella città futuristica per antonomasia non funziona nemmeno gmaps e gli indirizzi si cercano con una cartina in cinese.

 

Alla ricerca della milonga. Inizia la caccia al tesoro in cinese.

Venerdí sera. Verso le 8.30 sono finalmente libero dall’asfissiante ospitalità cinese fatta di lunghe cene dove il capo ordina specialità ricercate e poi si mangia per ore prendendo in giro gli occidentali che muoiono dal piccante.
Li convinco a fatica che sono in grado di prendere la metro da solo per andare in questo strano posto dove si balla il tango. L’indirizzo dell’albergo scritto in cinese per il tassista del ritorno ce l’ho e quindi non mi può accadere niente di brutto.

 Il venerdì del TangoBang! Ci sarà da spararsi?

La milonga regular del venerdì sera a Shanghai si chiama TangoBang! Spero non nel senso che ci sarà da spararsi. L’indirizzo è 765 Xi Zang Nan Lu, ma l’ingresso sta in Fangxie Lu. È una zona di orrendi palazzoni stile “architettura del popolo” senza alcuna insegna. Sperso entro in un albergo, dove ovviamente nessuno parla inglese. Gesticolo, mostro indirizzo, mimo qualche passo di tango nella hall, ma niente. Chiamo Vivien, l’organizzatrice, che riesce a farmi capire dove devo entrare. Nessuna locandina, nessuna differenza con 72 altri ingressi identici e nessuna indicazione sul piano. Fortuna che davanti all’ascensore trovo una coppia con in mano scarpe da tango che vanno al sesto piano. Sento note familiari. Giriamo un po’ di corridoi e finalmente entriamo in un appartamento ridotto ad una singola stanza.La cucina infatti è rimasta, fa da cassa e vi servono i drink, uno incluso negli 80RMB (10 Euro) dell’ingresso.  Sulla soglia c’è Vivien, una panterona con tinta rossiccia e un vestito di raso marrone con super spacco da cui esce decisamente troppa carne. La vedo ballare solo con il DJ-Nico, argentino, un ragazzo simpatico con la metà dei suoi anni e dei sui chili, decisamente piacevole da guardare mentre mi cambio le scarpe.

Alcune donne sono eleganti anche con abiti cinesi, altre più casual. Tra gli uomini si distingue un tipo con una giacca a righe colorata, papillon, baffetti stile fumeria di oppio anni Trenta e un sorriso eterno. A fine serata verrà a chiacchierare infilando anche qualche parola di italiano. Oltre a me, pochi stranieri: una ragazza di New York che sta facendo uno scambio universitario e che nessuno sembra invitare.

Tango Bang! Ma non c’è da spararsi.

 

Il dj asseconda gusti nazional popolari

La pista è ordinata, ballano un tango salon simile a quello a cui sono abituato, anzi quando cerco una postura un po’ più milonguera in camminata faccio fatica a trovare risposta. Il DJ asseconda i gusti popolari, con due tande di Pugliese e una lista di classiconi diligentemente compilata. Osa giusto una tanda di brani dalle parti del flamenco che tutto sommato mi viene anche bene e una di milonghe strambe a fine serata che mannaggia a quando mi sono alzato. Vals e milonga trascuratissimi.

L’esotismo di ballare con un italiano.

Le mie ballerine sono gentili, parlano inglese decentemente (il tango ci voleva per scambiare due parole con qualcuno), mi danno il nome inglese, salvandomi dall’imbarazzo di ripetere suoni a caso e soprattutto non ruttano, cosa non ovvia, se venite da una cena cinese. Tutte sembrano gradire molto ballare con me, ma è difficile capire dove finisce il tango e dove inizia l’esotismo di aver fatto la tanda con l’italiano. La più brava è Johanna una ragazza con un tubino rosso decorato, così piccola che mi sembra di averla tutta in una mano. Sintonia, leggerezza, musica, c’è tutto, ma è timida e alla fine scappa via. Questi sorrisi freschi mi mettono di ottimo umore. Qualche principiante va in confusione, si emoziona, ma anche ai peggiori disastri porgo sempre un sorriso.

Con un chupa chups tra le labbra.

Mi danno un bicchiere di vino bianco di qualità talmente infima che dopo due sorsi ho bruciore di stomaco e lo abbandono. Mentre cerco di riprendermi, noto un altro ragazzo che sfoggia un abbigliamento ricercato. Ha ampi pantaloni grigi e una canottiera nera con le spalline larghe. Sui venticinque, muscoloso, carnagione scura, capelli tirati indietro con la brillantina e il manico di un chupa-chups che spunta tra le labbra mentre balla. Credo che l’intento fosse di copiare qualche ritratto Porteño d’epoca, ma i tratti cinesi finiscono per farlo ad assomigliare più ad un simpatico picchiatore delle Triadi nei film di Wonk-Kar Wai.

Maybe I come to the milonga tomorrow…

La tanda che mi resta impressa si chiama Chien. Sulla trentina — per quanto dare l’età alle asiatiche è impossibile — capelli cortissimi, una gonna di raso verde e una goccia di rossetto rossissimo su una bocca piccola. Sa di sigaretta e non mi dispiace. Balliamo una tanda di Di Sarli in cui si struscia, porta la bocca a sfiorare la mia, mi fa sentire il suo respiro. Cerca sempre ganchos alti, trattenuti ed esce dalle parade facendo balenare la gamba fuori dallo spacco sopra la linea del bacino. La sua mano cambia piacevolmente presa sul mio collo. Prima che sia finita mi rendo conto che stiamo ballando una classica mu-tanda. Sembra emozionata. Lo sarà?
Più tardi la invito nuovamente per la fatale ultima tanda: Hector Varela. Sì lo so, è pop, ma a me piace lo stesso, poi c’è pure Fumando Espero. E così la mu-tanda si ripete con la stessa passione. Alla fine il suo toppino è girato e a me viene spontaneo aggiustarglielo, senza pensare. Lei si affretta a ringraziare e fare da sola. Le dico che sono qui per due giorni, se vuole bere un caffé domani e darmi qualche consiglio. A quel punto dovrebbe darmi il suo numero di telefono e invece “Mm, let’s see, maybe I come to the milonga tomorrow, I’ll see you there”.

Sono l’unico muso non giallo e l’unico in jeans e maglietta

Sabato sera la milonga è TangoGo, ma il mio stomaco decide di ribellarsi alla settimana di cucina cinese e mi costringe a saltare. Per il giorno dopo invece ho l’invito di Hai, il tipo incontrato in ascensore venerdì che organizza la milonga pomeridiana della domenica (18-22.30) al 246 di Fuxing Xi Lu. È una zona residenziale a metà tra l’ex concessione francese e il quartiere universitario di Chinghing. Ci arrivo in taxi vero le 20, sazio di atmosfere alla Blade Runner. La milonga è al primo piano sopra il ristorante Jushanyuan dove riscuotono i 70RMB dell’ingresso (no drinks). Si balla in una stanza che a tutti gli effetti sembra il salotto di un appartamento upper class occidentale. Parquet scuro, libri ovunque, qualche vetrinetta e circa 40 persone in uno spazio che non ne dovrebbe contenere più di 20. Entro e subito Hai mi dà un caloroso benvenuto. Alla mia sinistra le donne sedute in parata su tre file di sedie, mentre all’angolo opposto gli uomini, decisamente meno numerosi, attorno ad uno scrittoio su cui si ammassano borse e giacche. Su un altro tavolino striminzito due brocche d’acqua e menta e due thermos dell’immancabile the verde. Sono quasi tutti elegantissimi, specialmente gli uomini tutti in abiti tangueri anche troppo vistosi, al limite del ridicolo. Non solo sono l’unico muso non giallo della stanza, ma sono anche l’unico in jeans e maglietta. In più alla tanda successiva Hai decide di presentare i forestieri: oltre a me un tipo di Tokyo, uno di Nanjin e un ragazzo bianco, grasso, in jeans e felpa rossa che sembra conoscere un po’ tutti e parla cinese fluentemente.
Mi colpisce subito una ragazza coi capelli cortissimi e la schiena tatuata su cui spicca la parola “Tango”. Ha un fisico esile, tubiforme, assolutamente privo di curve e mi abbraccia sorridendo tutta sudata. Per mia disattenzione è una tanda di milonga sconosciute. Faccio un disastro e mi scuso più volte, ma lei non sembra troppo affranta.

Faccia sul cellulare, in cinque evitano il mio cabeceo

La serata parte in salita, poi riconosco Dan con cui ho ballato venerdì che sorride illuminata dall’altra parte della sala ed è una buona occasione per riprendere subito il feeling con la pista. Siamo pigiatissimi e ballo quasi tutta la sera senza potermi permettere molte figure. Mirada e cabeceo sono strictly enforced, ma con questa disposizione della sala a schieramenti separati è complicato invitare. Nessuno sembra essere qui in coppia. La serata è meno facile di venerdí e infatti nel suo corso ben cinque eviteranno il mio cabeceo tenendo la faccia nel cellulare, disdicevole abitudine dei cinesi in ogni luogo.
Poco male, nel complesso l’ambiente è giovane e la gran parte delle ragazze mi sorride ben disposta. Anzi una delle poche vestite casual mi invita con un cabeceo di tempismo perfetto, senza che l’avessi mirata in mezzo a tante più appariscenti. In genere non amo essere invitato, ma ha uno sguardo caldo come il suo abbraccio e la tanda scivola via piacevole.

Questa piccola comunità tanguera, accogliente e di ottimo livello.

Tra un brano e l’altro mi chiede perchè sono a Shanghai e del tango in Italia. Mi dice “I think that if you really like tango you have to go to Italy, right?”. Provo ad obiettare che quella forse è l’Argentina, ma resta della sua opinione. La DJ, una ragazza giovane e timida con un vestito tradizionale cinese ha più o meno lo stesso stile di quello di venerdì. Provo ad invitarla in un momento in cui ci incrociamo gli sguardi, ma declina facendo intendere che deve lavorare. Ballo senza sosta e trovo tutte ragazze piacevoli, di un buon livello intermedio. Molte commentano che il mio stile pare loro diverso da quello locale anche se io non ho affatto questa impressione. Inoltre rimedio forse il più bel complimento di sempre: “I like the way you play with music”. Tesoro, l’avrei baciata.
Torno dalla DJ per l’ultima tanda. Si difende dicendo che non ha le scarpe ed in effetti calza ballerine informi. La porto lo stesso in pista, devo ammetterlo, in modo leggermente invadente, ma mi faccio perdonare ballando al mio meglio quella che essendo la sua ultima tanda sarà anche composta dei suoi pezzi preferiti. Dopo pochi passi decide che non è un male essersi lasciata convincere. Si toglie le babbucce, io mi tolgo le scarpe e ci diamo dentro coi calzini, complice la pista un pò più sgombra, divertendoci fino alla cumparsita.

Torno a piedi in albergo, di ottimo umore, sorridendo alle prostitute che mi gridano “Sir! Massage? Lady come to your room!”. Xièxiè Shanghai, ma mi basta il tango.


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One Comment

  1. Cerchiamoci 06/10/2017 at 11:31

    “Il tango è saper camminare abbracciati”, diceva Carlos Gavito. E in quell’ottica abbiamo creato questa collezione in argento dedicata al tango: collane, bracciali e orecchini per chi come noi ama figurare in ogni milonga, sala o corso di ballo

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